MAX BUNKER: Una Vecchia Intervista Che Forse Non Tutti Ricordano (1989)

Cari Lettori del blog Gambero

Oggi ci immergiamo in una vecchia intervista realizzata da Moreno Burattini e che forse tutti non ricordano.


**Da “IL FUMETTO” (Edizioni ANAF) n°21 del dicembre 1989**

### D. Luciano Secchi, in arte Max Bunker: nel 1990 festeggerai trent’anni di attività nel mondo dei fumetti.
**R.** Esattamente, il mio primo contatto col fumetto avvenne nel 1960 traducendo Flash Gordon per l’Editoriale Corno. Ai tempi studiavo ed arrotondavo con lavori di traduzione dall’inglese, lingua che mi è sempre stata congeniale.

### Come ti sei scoperto anche scrittore e narratore?
**R.** Facevo ottimi temi a scuola e li facevo per quasi metà classe. In cambio loro mi facevano i compiti di matematica, dove ero debolino.

### Quali sono state le letture su cui ti sei fermato? Quali libri, quali fumetti leggevi da ragazzo e poi da adolescente?
**R.** Libri? I Classici, con particolare predilezione per Oscar Wilde (per esempio, “Il ritratto di Dorian Gray” che poi ho trasportato nel fumetto più di una volta), nonché Alessandro Manzoni ed Italo Svevo, tra cui “La coscienza di Zeno” rimane uno dei più bei romanzi di umorismo amaro che abbia mai letto. I fumetti sono i classici del dopoguerra: ovvero Mandrake, Uomo Mascherato, Topolino e Dick Fulmine al quale va la mia particolare preferenza.

### Com’era l’Editoriale Corno prima del tuo arrivo, e come cominciò a cambiare anche grazie a te? Quali erano inizialmente i tuoi rapporti con l’editore, e come andarono evolvendosi?
**R.** Il mio impulso fece sì che da editoria di favolistica si passasse a quella del fumetto. I rapporti con Andrea Corno? Quelli normali tra il direttore che propone e chiede il finanziamento dell’idea e l’editore che fa i suoi conti.

### Come hai imparato la tecnica della sceneggiatura? Avevi raccolto suggerimenti da qualcuno o ti ritieni un autodidatta?
**R.** Sono un lettore di Tex dalla primissima ora. Ammiravo Gian Luigi Bonelli per la sua capacità di essere stringato, rapido, incisivo. Diciamo inoltre che ho un innato senso del ritmo. Un autodidatta, quindi, con Gian Luigi Bonelli maestro ideale.

### Qual è il tuo metodo di lavoro? Stendi sceneggiature dettagliate o lasci libertà al disegnatore? E come si è evoluta nel tempo la tua tecnica? Credi di curare meno di una volta le tue storie o ritieni di metterci lo stesso impegno e la stessa passione?
**R.** Ho sempre lavorato con lo stesso schema. Tagli del quadro uno per uno: istruzioni per il disegno, quindi, più il testo. L’evoluzione nel tempo mi ha portato ad essere più conciso. La passione è indispensabile per fare questo lavoro.

### Perché il tuo esordio come autore dei testi avvenne con Maschera Nera, un western? Fu una precisa richiesta dell’Editore o una tua esigenza di narratore?
**R.** Il mio vero esordio avvenne in realtà con “Viva l’Italia”, che feci assieme a Paolo Piffarerio sulle pagine di Gordon rivista. Maschera Nera fu una scelta di mercato. Il western fino a quel momento aveva sempre pagato bene, e pagò anche quella volta.

### Cosa ricordi dei tuoi altri personaggi “minori” del periodo? Atomik, Capitan Audax, Primula Verde, Kim della Jungla, Rio Danger, Zorak: a quali esigenze rispondevano? Come li giudichi oggi, a distanza di tempo?
**R.** Ricordo principalmente che si era alla ricerca continua di uno sbocco preciso. Per me è stato un buon apprendistato. Un mio giudizio attuale è impossibile, ricordandoli veramente poco.

### Inizialmente firmavi le tue sceneggiature con sigle come “Elesse”: quando, come e perché nacque invece lo pseudonimo di Max Bunker?
**R.** È un soprannome che risale al 1945. Io ero il più piccolo di un gruppo di amici. Ai tempi i giochi erano inventiva spicciola: si giocava alle “isole”, ovvero si faceva un segno in terra col gesso e si metteva un nome. Essendo l’ultimo a scegliere sentivo tutti i nomi a me noti scappare via: Sicilia, Sardegna, Sumatra, Giava eccetera se ne andavano... così scelsi “Bunker” perché sentivo sempre per radio di Hitler che si era suicidato nel suo bunker, e pensavo fosse un’isola! I miei amici di un tempo mi soprannominarono Bunker.

### Il 1964 è l’anno del “mitico” incontro con Roberto Raviola. Quali sono stati i motivi dell’irripetibile e perfetta simbiosi tra Magnus e Bunker?
**R.** Difficile a dirsi. Ci siamo visti e ci siamo piaciuti. È stato un innamoramento artistico a prima vista. Diciamo che abbiamo la stessa età (lui ha soltanto tre mesi più di me), e che abbiamo vissuto, sia pure in città diverse, esperienze comuni. Poi il discorso è agli astri.



### Quanto pesò nella creazione di Kriminal il precedente Diabolik? Quando imboccasti con questo personaggio la strada del fumetto nero destinato ad pubblico adulto, eri consapevole del significato e del peso della tua scelta?
**R.** Innanzitutto è bene ricordare il momento storico del fumetto. L’immagine dell’eroe senza macchia e senza paura, bello, forte, lieto, generoso, che non mangiava mai né faceva all’amore era ormai edulcorata. Si sentiva il bisogno di qualcosa di nuovo. Il nostro distributore all’epoca distribuiva anche Diabolik, e ci disse che qualcosina si stava muovendo. Lessi i primi numeri di Diabolik, compresi che la matrice originaria era Fantomas, altra mia lettura favorita, e mi bastò. La consapevolezza era quella di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che andava oltre Diabolik che per me, era troppo lezioso.

### Kriminal e Satanik furono oggetto di una ostile e violenta campagna-stampa che portò all’intervento della Magistratura, con sequestri e processi. Cosa pensi, oggi, di tutto questo?
**R.** Che erano tempi felici se i mali della società erano rappresentati dai fumetti neri! Ora c’è il dramma della droga, della delinquenza dilagante, dei sequestri sì, ma di persona!

### Il duo Magnus & Bunker sfornava albi a ripetizione ad un ritmo che oggi sembra quasi inverosimile. Come ci riuscivate?
**R.** Eravamo giovani con tanta voglia di fare. Semplice, no?

### Controllavi le sceneggiature non tue per i personaggi che avevi affidato ad altri?
**R.** No, non avevo tempo. C’era qualcun altro che lo faceva al meglio delle proprie possibilità, che evidentemente non erano eccelse.

### Nel 1967 Luciano Secchi fonda Eureka. Quale pensi sia stata l’importanza di questa rivista nella cultura fumettistica del nostro Paese?
**R.** Prima di tutto aver fatto conoscere Eisner, uno dei più grandi maestri del fumetto mondiale. Poi anche di aver contribuito all’affermazione di Lupo Alberto, un mio pallino, e di tanti altri. Inoltre, di aver portato una posizione meditata tra confusione e isterismi d’epoca.

### Maxmagnus è forse la più riuscita satira della politica e dei rapporti tra governanti e governati. Cosa ricordi? Il libro ottenne il Dattero d’Oro a Bordighera ma non vendette molto: perché?
**R.** Maxmagnus è stato (con il primo Alan Ford) un capostipite italiano di satira sociale. Quella vera, non quella fatua che si limita a prendere in giro, se non a insultare, un personaggio politico. Sulle pagine di Eureka ebbe una grande audience, ma la vendita del libro fu scarsa. Perché? Mah! Arduo dirlo. Resta il fatto che, secondo me, si trattò del lavoro meglio riuscito del Magnus di quel tempo.

### La serie Maxmagnus fu riproposta qualche anno fa come collana mensile con caratteristiche diverse da quelle originarie, ma naufragò dopo un promettente avvio. Perché? Colpa del disegnatore, o troppa prudenza dell’editore che si affrettò a chiudere ai primi segnali negativi?
**R.** Ero io che decidevo se continuare o chiudere quella pubblicazione, ed è vero che io chiudevo subito una cosa passiva. L’unica eccezione fu fatta per Alan Ford, per motivi che ho spiegato più volte ma che

 posso ripetere. Alan Ford partì subito con vendite incoraggianti, ma non bastava. Quindi dopo un certo numero di albi si arrivò al classico bivio: chiudere o continuare? Feci un’analisi tecnica e conclusi che andava dato tempo a quella serie per raggiungere una dimensione di economia, cosa che non avevo mai fatto prima. Proposi all’editore di andare avanti comunque, pur con il rischio di rimetterci per un po’, ed accettò. È andata bene.

### Come ti nacque l’idea per Alan Ford? E come mai, proprio con Alan Ford, venne introdotta nei fumetti un tipo di umorismo del tutto particolare, inedito e corrosivo?
**R.** Più che un’idea fu una necessità. C’era il bisogno di un fumetto innovativo e diverso. L’idea di fondo era quella di un gruppo di spie cialtrone, stante il fatto che James Bond, alias Agente 007, spopolava. Da questo all’umorismo più corrosivo ci volle poco. Bastò trarre ispirazione dalla realtà. E la realtà, si sa, è sempre comica e tragica allo stesso tempo. Per esempio, il personaggio di Cariatide fu creato ad immagine e somiglianza di un attore che avevo visto in un filmetto. Totale trasandatezza, unto e bisunto, scarpe sfondate, ciondolava in una tipica osteria bolognese. Solo che in questo caso non si tratta di un’osteria, bensì di una ex-banca in disarmo.

### Sei il creatore di una serie di personaggi la cui fortuna ha varcato il semplice ambito fumettistico (Dany Coler è diventato un serial televisivo). Quali personaggi di Bunker potrebbero prestarsi meglio ad essere tradotti per il piccolo schermo?
**R.** Non lo so e non mi interessa.

### La tua collaborazione con Roberto Raviola s’interruppe improvvisamente all’inizio degli anni Settanta. Quali furono i motivi del vostro dissidio?
**R.** Si tratta di una faccenda personale di nessun interesse per i lettori. Diciamo che io la vedo in un modo e lui in un altro, e nessuno dei due è disposto a concedere.

### Successivamente ti sono stati affiancati altri disegnatori, come Paolo Piffarerio, che ben si sono integrati nel solco della tradizione. Con chi ti sei trovato meglio?
**R.** Il solco della tradizione è Max Bunker e nient’altro. Piffarerio è un ottimo professionista e, in certi campi, un vero maestro. Negli ultimi anni si è un po’ annebbiato ed è ora alla ricerca di una dimensione diversa.

### Di Alan Ford sei oggi, oltre che sceneggiatore, anche editore. Qual è stato il periodo di maggior successo della testata e, al di là della professionalità di chi ti è stato affiancato, quanto ti è costato mantenere i livelli iniziali?
**R.** I momenti di maggior successo furono i primi cinque anni e ora, con la riedizione a colori.

### In passato hai più volte affermato di essere uno dei migliori scrittori di “gialli” d’Italia. Sei ancora dello stesso parere? In cosa ritieni di distinguerti da autori come Nizzi, o Berardi?
**R.** Ho dichiarato di esserlo e lo confermo. Mi distinguo perché non ho mai scopiazzato autori americani per creare personaggi.

### Da tempo non realizzi nuove serie a fumetti. Le proposte degli Editori mancano o mancano le idee? I personaggi creati da altri non sono soddisfacenti? Cosa c’è, secondo te, che non funziona nel fumetto di oggi?
**R.** Non mancano le idee ma i soldi. Un personaggio nuovo non va mai a pareggio subito, quindi ci vuole l’editore che ci crede e ha capitale per far fronte alla prima fase. Inoltre, ci vuole un distributore serio. Oggi i distributori sono delle sanguisughe. L’unico che funziona è Intercontinental ma anche lui ha dei problemi.



E qua si conclude l'intervista. Il nostro Bunker è diventato più burbero con gli anni?

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